“Noi”, non “loro”: il progetto di vita

Fede e Luce è stata invitata a Roma dall'1 al 3 giugno per il convegno CEI dedicato alla disabilità

da | 11 Lug, 2023 | Eventi

Si è svolto i primi giorni di giugno, a Roma, il secondo convegno nazionale del Servizio per la Pastorale delle Persone con disabilità della Conferenza Episcopale Italiana dal titolo Noi, non loro: il progetto di vita.

Il Servizio diretto da suor Veronica Amata Donatello (descritta dalla ministra Alessandra Locatelli «un terreno fecondo di collaborazione» per le sue capacità di fare rete e affrontare – insieme – i temi importanti legati all’esperienza della disabilità), accanto all’instancabile equipe che la affianca, ha delineato un’occasione d’incontro e scambio che è andato al di là del classico evento annuale.

L’idea del convegno ben prosegue infatti il percorso cominciato con la ridenominazione del servizio CEI. In passato, infatti, l’obiettivo principale dell’attenzione alle persone con disabilità veniva ritagliata all’interno dell’Ufficio Catechistico (occupandosi delle problematiche relative all’iniziazione cristiana che spesso tagliava fuori dal cammino comunitario i bambini con disabilità); da qualche anno, invece, il focus del Servizio per la pastorale delle persone con disabilità è stato ampliato su ogni dimensione, includendo un’attenzione per la famiglia e le varie fasi della vita di una persona con disabilità.

L’obiettivo è proprio quello di sostenere la maturazione di un nuovo sentimento ecclesiale che, sottolinea mons. Savino (vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana) non ha raggiunto ancora una piena maturazione nel considerarci un noi insieme alle persone che vivono una disabilità o una fragilità e superi quel loro, più consueto e comune, che però mette distanza tra chi vive questa esperienza e chi no.

Intervenendo nella seconda giornata, il cardinale Zuppi ha bene espresso come ancora «tante sono le resistenze, tante le lentezze… corriamo sempre il rischio del paternalismo, del “sentirci buoni” ma in binari morti. Eppure, ci dovrebbe interessare! Gesù ci ha chiaramente detto chi è il prossimo. Noi Chiesa non dovremmo lasciar solo nessuno!». L’accento, dunque, vada sulla necessità che, in ogni fase della sua esistenza, la persona con disabilità trovi una comunità – soprattutto se cristiana – realmente accogliente e non segregante. Da qui il nome del convegno che, come nel primo, punta lo sguardo su quei due pronomi che fanno la differenza.

Ospite speciale della tre giorni è stato Bill Gaventha, cappellano presso un ospedale della Carolina del Nord, Fondatore del Summer Institute on Theology and Disability e direttore della Collaborative on Faith and Disability. Attento studioso di teologia della disabilità, nella sua esperienza ha avuto modo di approfondire come sia ingiusto separare spiritualità e disabilità intellettive o dello sviluppo: come se chi non ha le capacità cognitive non possa avere accesso ad un’esperienza spirituale. Eppure, domande universali come “chi sono io?”, “perché sono qui?”, “di chi sono… a chi appartengo…?” non interrogano tutti al di là delle capacità cognitive? E anzi, proprio quel che ciascuno di noi crede sulla disabilità, forgia la propria spiritualità.

Altri relatori hanno messo in evidenza come, proprio a partire da quelle domande di senso, possa snodarsi il filo della progettualità e della qualità della vita. E di come la ricerca muova passi importanti anche in questo campo, anche se, indica Bertelli – presidente della Società italiana per i disturbi del neurosviluppo (Sidin)-, con qualche necessario appunto metodologico da rilevare.

Un percorso spirituale vissuto in parallelo al convegno ha visto alcuni rappresentanti dell’associazione Casa delle Luci e delle comunità di Fede e Luce insieme per un pomeriggio di conoscenza e di dialogo nelle modalità che ognuna delle due associazioni ha come proprie: la lingua dei segni e la drammatizzazione della parola biblica. Un incontro molto stimolante per le due realtà, che si incontravano per la prima volta in quell’occasione, per dare concretezza a quanto spiegato in sala. Una pratica che poi è stata condivisa a tutta la platea attraverso un breve filmato. Un aiuto ulteriore è stato quello della semplificazione del testo scelto (Le Nozze di Cana) e la trasposizione nei simboli della CAA (per la quale ringraziamo la prof.ssa Maria Grazia Fiore e la dott.ssa Fiorenza Pestelli) che hanno agevolato la lettura del vangelo di tutti i partecipanti e il suo passaggio alla drammatizzazione.

Le proposte al convegno, a partire da queste, sono state molto variegate e capaci di coinvolgere in modi diversi i partecipanti. A cominciare dalle diverse sedi: dalla tradizionale e classica Domus Mariae – TH Carpegna Palace Hotel, per la prima e terza giornata, alla Fondazione Santa Lucia, per la seconda, il convegno sottolineava così la necessità di allargare il nostro sguardo quando parliamo di disabilità. Non possiamo tralasciare la grande diversità che interessa le persone che ne fanno esperienza, a partire dal fatto che, ad esempio, ci sono disabilità congenite ed altre acquisite. Al Santa Lucia molto spazio di lavoro è dato proprio a quelle acquisite, in tutti gli ambiti della riabilitazione e della pratica sportiva: abbiamo potuto apprezzare e sperimentare alcune discipline che lì trovano particolare sviluppo come il basket, la scherma, il tennis da tavolo o il badminton. Per non parlare di due postazioni di calcio balilla accessibili anche a chi, da una sedia a ruote, ha potuto segnare gol. Il pomeriggio è stato dedicato ad un’esperienza di turismo accessibile con la visita alla residenza pontificia e ai magnifici giardini di Castel Gandolfo.

Un altro tratto del percorso offerto dal convegno ha infine ricercato la strada della sinodalità: i cantieri di Betania (ispirati a quelli avviati per il Sinodo) hanno coinvolto ogni partecipante in due laboratori di scambio e riflessione su alcuni dei temi che l’ufficio riconosce importanti per la crescita dell’attenzione pastorale alle persone con disabilità e che hanno approfondito i luoghi dell’evangelizzazione (gli strumenti operativi, la liturgia inclusiva, la cura della vocazione…), l’abitare (la vita indipendente, la residenzialità, le fasi della vita…), e i luoghi di vita (scuola, lavoro, viaggi, sport…). Una modalità che, se pure non in grado di offrire sempre risposte compiute e replicabili, permette un confronto e una condivisione fecondi.

«Le relazioni devono accadere, verificarsi… è necessario praticare quanto predichiamo!», ha sottolineato Gaventha al termine dei lavori: questo convegno ha ben raccontato e praticato la necessità di entrare in relazione e costruire una Chiesa «sui doni e non sui difetti» di chi abbiamo accanto.

Cristina Tersigni
Comunità San Gregorio (Roma)

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